Ho conosciuto i ragazzi di Farma282 lo scorso anno a marzo durante la fiera Wake Up a Parma e abbiamo scoperto di avere in comune l’ amore per i designer emergenti, le nuove creatività legate alla moda, oltre alle radici romagnole di una dei fondatori.
Accanto al loro validissimo lavoro di scouting i ragazzi di Farma sono arrivati al numero uno, dopo l’esordio con un issue zero, di un magazine tematico che raccoglie immagini fotografiche, articoli, idee.
Da sempre vicino alle riviste indipendenti, e anche per l’affetto che mi lega a loro, ho accettato con entusiasmo la proposta di scrivere qualcosa per il numero.
“Magda” parla di radici, di ricordi d’infanzia, di persone e luoghi che ci hanno influenzato crescendo e io sono molto orgoglioso di aver preso parte a questo progetto con un racconto molto personale.
“Sulla pelle” ha preso forma di getto, come se fosse pronto per essere raccontato, e parla di ben più di un semplice tatuaggio.
Siamo spesso, se non sempre, il frutto dell’environment in cui siamo cresciuti, per emulazione o per reazione crescendo diventiamo lo specchio o l’antitesi di chi ci ha cresciuto.
O almeno io lo noto su di me, mi guardo allo specchio e vedo gli occhi di mio padre e di mia sorella, la forma del viso di mia madre, ma anche caratterialmente riconosco i tratti di famiglia, sono permaloso ed orgoglioso come mio padre, ma ho anche la sua stessa sensibilità, ho l’educazione di mia madre e quella sua attitudine all’accoglienza, al sorriso.
Col passare degli anni, e inconsapevolmente, visto che da adolescente un po’ non mi piaceva, ho acquisito lo stesso modo finto burbero che caratterizzava l’ironia di mio padre.
Sono stato fortunato, in casa forse certe parole rimanevano non dette, ma si capivano con uno sguardo, e io son sempre stato libero, di provare ad alzare la gamba come Heather Parisi e Miguel Bosè da piccolo, di vestirmi da Boy George da quindicenne, di volare a Londra subito dopo, loro si fidavano di me, ma era il mondo fuori che li spaventava, e come dargli torto, e quel: “Mi raccomando Stefano, fai attenzione”, si traduceva con: “Qui sarai sempre al sicuro, ma fuori c’è il rischio che tu possa essere ferito”.
Sono stato fortunato, e ora che sono solo, mi mancano da morire, mi manca quell’abbraccio rassicurante, la battuta scherzosa, il nostro piatto preferito, le serate in cui spiegavo le trame dei film a mia madre che si distraeva e perdeva il filo.
Ma quell’abbraccio in realtà continua perpetuo, perché in un punto del mio corpo che non è visibile facilmente porto un segno preciso.
A prima impressione sembra un tatuaggio un po’ sciocco, un fumetto pop, con una scritta di poco valore: “Alt!”, di cui qualcuno ha anche sorriso.
Ma in realtà è una delle cose a me più care, perché ALT nasconde i nomi di Angelo, Laura e Tonina, cioè mia sorella Laura e i miei bambini, come chiamavo affettuosamente Guerrini Senior e consorte negli ultimi anni per sfotterli un po’.
Non li ho voluti lasciare andare e li porto con me sulla pelle.
Molto più di un segno, ma la memoria costante di tutto quanto, ed è tantissimo, io abbia ricevuto in dono.