Il protagonista di questo appuntamento con il consueto “4 domande a…” è un mio caro amico.
Se mi seguite sapete che il punto di partenza di questi incontri è proprio il legame che ho con i personaggi che intervisto, questa volta però vi presento qualcuno che fa parte della mia vita da molti anni, anche se abitiamo in luoghi diversi della nostra penisola e ci vediamo pochissimo.
Ho conosciuto Stefano Mastropaolo non mi ricordo più neanche in che anno, non c’era ancora Instagram o WhatsApp, ma esistevano i primi blog e Stefano diede voce alla sua passione per la cultura pop declinata in modi diversi dalla moda alle arti visive in un suo primo spazio sul web, da Psikiatria80, nome nato anche da una serie di incontri sugli anni ottanta che Stefano aveva curato, poi è passato a Dapasserella, ma è stato anche redattore di alcune riviste indipendenti, compreso quel Label di cui io ero fashion director.
Insieme siamo stati a Pitti, abbiamo trascorso giornate intere ad AltaRoma, senza contare le infinite telefonate a parlare di noi e delle nostre passioni, dalle quali solo per puro caso non sono nate enciclopedie intere sulla moda e sui gossip. Oggi incontro Stefano Mastropaolo perché, and it was about fucking time, accanto al suo lavoro per il Circolo Mario Mieli di Roma e per il Muccassassina, accanto ad un interessante ruolo di docente per l’Accademia di Costume e Moda di Roma e Milano, il nome di Stefano è sulla versione italiana di una pubblicazione internazionale di cui è il curatore.
Un momento prestigioso, del quale sono molto fiero, e per questo non potevo non farvelo raccontare da lui.

Mi racconti come è nato questo progetto e come tu ti sei approcciato al libro?
Mi ha contattato l’editore tramite Nick Cerioni, che, conoscendo il mio percorso di attivista del Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli e quello professionale a Muccassassina, aveva dato il mio contatto pensando fossi la figura che cercavano. Ci siamo visti a Milano nella sede de Il Sole 24 ore e ammetto che per un attimo mi sono sentito Andy Sachs alla Elias Clark quando va a fare il colloquio per “Runaway”, ne “Il Diavolo veste Prada”, e quando ho visto l’edizione francese del libro di Apolline Bazin me ne sono innamorato. Perché è un bellissimo volume, riesce a ripercorrere la storia del Drag in tutte le sue forme e trasformazioni. Dalle forme teatrali che usavano gli uomini per i ruoli femminili, motivo purtroppo legato all’impossibilità sociale e culturale delle donne di essere considerate, arrivando ovviamente alla contemporaneità.
Nonostante una visione internazionale mancavano riferimenti all’Italia e lì mi è stato chiesto di curare l’edizione italiana aggiungendo, laddove fosse possibile farlo, fatti, accadimenti ecc. Ho cercato di rispettare il più possibile il lavoro dell’autrice, colmando le lacune presenti.
Nell’edizione francese la prefazione era di Niky Doll, la Drag Host di Drag Race Francia, e per l’edizione italiana ho subito pensato a Priscilla, Drag Host delle tre edizioni di Drag Race Italia perché, come dico sempre, sono due regine che siedono alla stessa tavola di Mama Ru e se Ru Paul ha scelto Priscilla come potevo non farlo io?
Ho aggiunto due interviste inedite: una a Tsunami, drag che nasce a Muccassassina e che dal 2018 ha sostituito La Karl Du Pignè come voce del Roma Pride sul carro di apertura, fu proprio La Karl a chiedere, prima che ci lasciasse, che fosse proprio Tsunami a prendere il suo posto, e Lina Galore, vincitrice della terza edizione di Drag Race Italia, che come ho scritto nel libro, oltre ad essere una bravissima performer, è un manuale di semiotica della moda e ha nei suoi outfit delle reference che amo e che dichiara, dimostrando così una grande cultura.

Qual è l’importanza di un libro come questo nel nostro momento storico? Quale l’importanza dell’arte Drag?
L’importanza sta, più che nel libro, nell’editore. Mi spiego meglio. 24 ORE Cultura editore è del Gruppo 24 ORE e non è scontato che un nome dell’editoria e della finanza, forse tra i più importanti in Italia, potesse scegliere di avere in catalogo un volume così.
Il gruppo con cui ho avuto modo di lavorare è fatto di donne che sanno vedere oltre e lo dimostrano anche le mostre e le attività del Mudec, il museo delle culture di Milano, che è gestito dal Comune di Milano e 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE.
Tornando al libro è importante perché permette di conoscere la storia di un fenomeno politico, artistico, culturale e, grazie appunto all’editore, di avere il giusto spazio sugli scaffali delle librerie.
L’importanza del Drag è ancora quella di scuotere, di dare fastidio, di creare dibattito.
Indispensabile, fino a quando ci saranno parlamentari che in Aula, anziché occuparsi del bene del Paese, si indignano perché Priscilla è stata invitata dall’Università Federico II di Napoli a tenere una Lectio Magistralis, nell’ottica di promuovere un approccio inclusivo e affermativo nei confronti della presa in carico delle persone Lgbtqia+ in ambito ospedaliero. E potrei farti molti esempi simili, per i quali rimane necessaria l’arte Drag.

A mio avviso c’è un forte legame fra moda e il mondo Drag. Cosa ne pensi? Come si esprime secondo te questo legame?
Il legame tra la moda e il Drag è indissolubile, uno ha sempre contaminato l’altro da sempre.
Se penso alla mostra sul Camp al MET di New York voluta da Alessandro Michele, allora in Gucci, penso alla moda Drag. Il Camp è il Drag, l’innaturale, la ricerca, l’eccesso, la parodia, la teatralità, la “Exstravaganza”.
Ti cito quella mostra perché c’erano insieme da Moschino (sia quello dell’era Franco, che di quella Rossella Jardini, che quello creato da Jeremy Scott) a Jean Paul Gaultier, passando per Thierry Mugler, Vivienne Westwood, Bob Mackie e cosìmì via. E poteva essere d’ispirazione anche per il mondo dei Drag King che sono sempre dimenticati quando si parla di Drag.
Lo stesso posso dirlo della mostra che ora è al MAXXI di Roma “Memorabile. Ipermoda” curata da Maria Luisa Frisa che riesce a far dialogare da Victor and Rolf a Thom Browne e molti altri.

Mi dici quali sono le tue Drag iconiche. E per quale motivo?
Per non fare torti a nessuna delle Drag che conosco e perché davvero non sono in grado di scegliere. In questi venticinque anni che lavoro accanto alle Drag posso dire di averne conosciute tante, ho visto e vissuto i cambiamenti generazionali e soprattutto, perché sto scrivendo la versione inedita tutta italiana, sempre per 24 ORE Cultura, del libro sul Drag, ti posso citare alcune di quelle che mi hanno fatto innamorare di questo mondo.
Ovviamente Leigh Bowery, che anche se non è una drag ne è fonte ispiratrice, Ru Paul, la mitica e storica Lady Bunny, che ho avuto modo di conoscere anni fa a Muccassassina, Divine, Lypsinka, Candy Darling, Jackie Curtis e Hollywoodlan della Factory di Andy Warhol e che associo all’album “Transformer” di Lou Reed in cui lui stesso è in Drag. Quelle cinematografiche come Frank’n’Further di “The Rocky Horror Picture Show”, Bernadette Bassenger, Mitzi Del Bra e Felicia Jollygoodfellow di “Priscilla, la regina del deserto” e Letal da “Tacchi a spillo” di Almodovar.
Sono voluto restare fuori dai confini italiani volutamente, ma una drag italiana che non posso e non voglio non citare è La Karl Du Pignè perché LKDP è stata prima di tutto una Drag che vedevo a Muccassassina, poi è diventata un’amica poi nella vita reale un collega e un compagno di militanza al Circolo Mario Mieli di cui Andrea Berardicurti, questo era il suo nome out of drag, era segretario politico e che purtroppo non c’è più.
E poi ovviamente non mi va di non citare le non Drag che sono più Drag delle Drag. Sarò scontato, ma non mi sento di chiudere senza citare Madonna e i suoi outfit iconici, Cher e il suo minimalismo estremo, Dolly Parton e i suoi look da signora bon ton, Shirley Bassey tipicamente inglese bucolica, Dalida e i suoi look concettuali che in confronto Juliette Greco era una che si sbizzarriva con i colori, Orietta Berti e il suo stile serio e intimista (ovviamente il tutto va letto come ironico, ndr), e ultima ma non ultima Moira Orfei.

Stefano Mastropaolo