Ho scoperto e mi sono innamorato della collezione di Gabriele Pasini qualche stagione fa durante una edizione di Pitti, l’importantissima fiera di moda che si tiene due volte l’anno a Firenze, quello che mi ha colpito subito del lavoro di Gabriele è la capacità di trasformare quelle che sono le sue basi nella sartoria Italiana e quindi, se vogliamo definirlo così, nel bel vestire tipico del made in Italy in qualcosa che ha a mio avviso un respiro internazionale e moderno.
Questo avviene perché il punto di partenza di Pasini sono gli studi d’arte, è infatti diplomato all’istituto statale d’Arte per la ceramica Gaetano Ballardini a Faenza, e questa attitudine al bello e alla creatività, unita alla sapiente arte sartoriale e a spiccate doti di apertura mentale e curiosità, fanno sì che il lavoro di Gabriele Pasini non si discosti da quelle competenze tecniche imparate a fianco dei migliori sarti partenopei, la perfetta capacità di costruire un capo, ma acquisisca anche un fascino e un appeal totalmente contemporaneo e al tempo stesso trasversale e timeless, capace di suscitare desiderio e interesse anche a chi come me indosserebbe solo baggy trousers e sneakers.
Negli anni ho avuto modo di chiacchierare con piacere in più occasioni con Gabriele e l’ho rifatto recentemente per questo nuovo “4 domande a”.
Come è cambiato secondo te il vestire maschile e di conseguenza come è cambiato il tuo lavoro?
Ma guarda ti dirò, ho sessant’anni, lavoro da molti anni e in questo mio percorso nella moda non penso di essere cambiato così tanto.
C’è una parola che uso spesso ultimamente e mi piace molto che è “reale”, può significare essere coerenti con se stessi o comunque fare quello che è più vicino alle proprie capacità e alle proprie esigenze.
In questo senso penso che il mio lavoro non abbia subito dei grossi cambiamenti nel tempo, se non in dettagli.
Più in generale penso che il vestire maschile non abbia attraversato delle grandi modifiche negli ultimi decenni.
Ti faccio un esempio, ero alla mostra che tu ed Angelo Caroli avete dedicato alle Pescherie della Rocca di Lugo a Tonino Folicaldi, che devo dire mi è piaciuta molto e mi ha dato degli spunti di riflessione, tanti dei capi che indossava quel personaggio li potremmo ritrovare anche nel guardaroba attuale e nelle passerelle di molti marchi.
Vuoi perché un personaggio così era sicuramente un pioniere e avanti per i suoi tempi, ma anche perché la moda è fatta di ricorsi e sappiamo bene che gli uffici stile si ispirano sempre al passato per creare collezioni nuove, fatto è che tante delle cose esposte, che magari erano degli anni Sessanta o Settanta, io le ho trovate attualissime.
Nelle mie ricerche su Instagram o nelle foto che spesso il cellulare ti ripropone rivedo spesso degli accostamenti che faceva in passato la giacca sartoriale con il jeans rovinato piuttosto che oversize, molte di questo si può fare benissimo anche oggi.
Le mie giacche sono sempre pensate, progettate e costruite nello stesso modo e ti dirò che anche la vestibilità a mio avviso non è cambiata moltissimo, forse siamo più liberi nella voglia di abbinare o contaminare, ma tutte queste differenze io non le vedo.
Una delle caratteristiche più amate nel mondo pensando al “made in Italy” è la nostra sartorialità.
È ancora rilevante questa oggi? E più in generale il made in Italy è ancora un valore aggiunto?
Non voglio suonare troppo campanilista e considera che io ho viaggiato moltissimo, vedendo spesso luoghi meravigliosi, però trovo che l’Italia sia davvero la nazione più bella del mondo!
Il nostro essere costantemente esposti al bello, alla qualità, alla cultura e all’arte ha fatto sì che il nostro modo di vestire sia stato di insegnamento anche fuori dai nostri confini.
Ci viene riconosciuto a livello internazionale un livello di know how altissimo nel mondo della creatività, non solo legata alla moda.
Chiaramente penso che il concetto di made in Italy sia assolutamente importante e abbia ancora un valore, così come penso che la nostra sartorialità sia un punto di forza e non abbia rivali!
Il classico nella sartorialità, ma anche in altri settori come ad esempio nella cucina non passerà mai di moda.
Sono molto curioso e mi piace l’avanguardia, mi interessa, ma una giacca fatta bene, con dei tessuti nobili avrà sempre un ruolo predominante nel nostro guardaroba.
Forse dovremmo vendere meglio questo made in Italy, presentarlo meglio, valorizzarlo.
Ecco forse rispetto ad altri Paesi siamo meno bravi a fare questo!
Una delle cose che mi piace del tuo lavoro è che ti piace “contaminare”.
Da cosa viene questa tua caratteristica e più in generale da dove arrivano le ispirazioni per il tuo lavoro?
Quali mondi sono in grado di influenzarti?
Quello che vedi nel mio lavoro è quello che io sono, quello che mi piace, ma forse la contaminazione di cui tu parli è una sensazione percepita da fuori e non qualcosa che io decido di fare apposta o che costruisco a tavolino.
Mi piace il concetto di contaminare, ma selezionando bene e partendo sempre dai miei studi che arrivano dalla sartoria napoletana, dall’amore per i tessuti nobili e di qualità, il mio percorso di creazione di una collezione non può mai prescindere questo.
Per quanto riguarda l’ispirazione in realtà penso che tutto sia in grado di suscitarti delle emozioni e darti delle idee, ci vuole una certa sensibilità, essere sempre capace di cogliere i movimenti del gusto.
Avere la mente aperta ed essere curiosi sono alla base di questo lavoro.
Poi ognuno di noi ha un bagaglio, un background che si porta dietro al quale e dal quale di volta in volta attinge, aggiunge, mescola.
Poi chiaramente guardo molti documentari soprattutto del passato, il lavoro di stilisti che ci hanno preceduto, da Coco a Yves, i contemporanei più interessanti, una figura come Virgil Abloh ad esempio.
Ma fa tutto parte di quell’essere curiosi che ti dicevo prima.
Quanto sono importanti nel tuo lavoro e in che modo si manifestano le tue radici?
Io amo molto il colore, che per me è l’Italia, nel mio lavoro c’è tantissimo dei nostri colori.
Il nero è più complicato, va studiato, interpretato e non so quanto appartenga alle nostre radici, alle quali invece appartiene alla fantasia che io traduco costantemente nei miei capi.
Tecnicamente io sono nato nella sartoria, potrei quasi dire usando una metafora che suono la musica classica e se non sai quella non puoi puoi fare la musica pop.
Pensa al taglio morbido e avvolgente della sartoria napoletana, solo da lì puoi partire per arrivare a qualcosa di contemporaneo. Un po’ come quello che cerca la felicità ovunque e non si rende conto che ce l’ha davanti agli occhi.
Vivo a Modena ma non dimentico le radici nella nostra Romagna e penso che mi capirai quando ti dico che guidando verso la nostra terra si capisce già nell’aria che stiamo arrivando e la Romagna è proprio bella per questo senso di accoglienza, per questa sua ricchezza nei colori, quelli del mare ma anche quelli della collina.
Io ad esempio ho bisogno del sale, della salsedine dell’acqua per ricaricare le energie e queste energie sono sicuro di ricaricarle sempre quando vengo in Romagna.