Trasgredisco alle abituali regole di questa rubrica e ho deciso che per questa volta non saranno quattro domande ad una persona sola, ma ho posto la stessa domanda a quattro persone diverse.
Ho raggiunto alcuni personaggi che stimo e che sono amici, che hanno un ruolo nel settore moda, e ad ognuno di loro ho fatto una domanda su un argomento che trovo interessante in questo periodo storico cioè: “Come comunicare la moda”.
In alcuni punti le risposte degli intervistati si avvicinano, in altri si allontanano notevolmente, c’è però un elemento comune ovvero che forse il modo di comunicare la moda al momento è un po’ noioso.
Vi lascio a questi quattro brillanti commenti, molto felice di condividerli con voi e mi piacerebbe -come sempre- avere anche un vostro feedback.
Negli ultimi anni è cambiato molto il modo di comunicare la moda, però l’utilizzo del web ultimamente mi sembra molto ripetitivo e statico.
Secondo te la moda come verrà comunicata da qui in avanti? Ha ancora valore la promozione che avviene attraverso i social?
È ancora importante una sfilata?
RICCARDO TERZO, fashion editor e docente di moda
La comunicazione di moda digitale è una prerogativa per ogni brand.
Se da un lato i negozi sono vuoti, se le maison perdono creatività favorendo il merchandising e le discutibili strategie di marketing, se si cerca di rivoluzionare un sistema forse saturo e stanco, dall’altro il mondo digitale offre visualizzazioni, monetizzazione, hype.
La moda vive della sua stessa immagine? Sì: vive di un alter ego virtuale in cui è più importante comunicare la moda che fare la moda stessa.
Eppure, case come Prada e Valentino nelle ultime sfilate dimostrano il contrario, ancorandosi alla realtà che è complessa, stratificata e difficile da comprendere. Il mondo digitale, oggi, tende a semplificare fin troppo attraverso immagini ridondanti e vuote; forse, anziché chiedersi se i vecchi modi di comunicare la moda (magazine, sfilate) funzionino ancora, è meglio ragionare su strategie digitali più profonde e culturalmente elevate. Il digitale, purtroppo, è ancora poco sfruttato per le sue capacità vere – favorendo al contrario la velocità e la semplificazione che rovinano la bellezza dei vestiti, dei corpi raccontati, della creatività che ha estremamente bisogno di respiro e di tempo per esistere.
NICOLA IEVOLA, editor in chief Virtus Magazine, lecturer Accademia del Lusso
La moda oggi sta vivendo una vera e propria crisi creativa, tutto sembra si sia appiattito e omologato alle regole del mercato, perdendo così di fascino e narrazione, fatta eccezione per pochi casi.
Questo ovviamente si va a ripercuotere anche sulla comunicazione, che negli ultimi anni è diventata sempre più digitale, soprattutto attraverso i social media.
Tuttavia, la tua osservazione che l’utilizzo del web sembri ripetitivo riflette una sfida attuale nel settore: la saturazione delle piattaforme e il rischio di uniformità nei contenuti. Infatti, le testate giornalistiche tendono a scrivere dei medesimi argomenti, cercando di catturare attenzione e like degli utenti, molto spesso a discapito di un giornalismo di qualità.
È cambiato anche l’atteggiamento dei lettori, che si sono impigriti e in molti sono alla ricerca di contenuti veloci e soprattutto instagrammabili, si spiega così anche il successo di pagine Instagram come Stylenotcom.
Per non parlare poi dei video di Tiktok, basta avere un telefono e una connessione Internet è magicamente tutti diventano critici di moda, pur non avendo competenze e conoscenze, e spesso diffondendo anche informazioni non propriamente esatte.
Questo fa presagire che anche se i social media rimarranno una parte cruciale della strategia di comunicazione, ci sarà un maggiore focus sui contenuti generati dagli utenti e sull’autenticità.
I brand potrebbero ridurre la dipendenza dai grandi influencer e puntare maggiormente su micro-influencer con una community più piccola ma più impegnata, per comunicazioni più autentiche e vicine ai consumatori.
Le nuove generazioni sono molte attente e particolarmente sensibili e consapevoli riguardo a tematiche legate all’impatto ambientale e si aspettano di vedere più storytelling che metta in luce l’etica e la sostenibilità dei brand, oltre ai prodotti stessi.
A mio avviso la sfilata è un momento fondamentale quando riesce a trasmettere un messaggio significativo attraverso le collezioni.
La moda non è solo un prodotto estetico, ma un mezzo di espressione artistica e culturale.
Quando un designer utilizza la sfilata come mezzo per comunicare una visione, un’emozione o una riflessione allora ha senso, altrimenti diventa un momento di semplice spettacolarizzazione (in alcuni casi nemmeno quello), ma è un contenuto “vuoto” che perde di valore, diventando un semplice esercizio di stile fine a stesso.
Negli ultimi anni gli show hanno perso di interesse perché le creazioni non comunicano nulla di nuovo o interessante.
E purtroppo le sfilate più interessanti, con designer che hanno qualcosa da dire, rimangono appannaggio di un’élite di addetti ai lavori, tendenza che denuncia un atteggiamento molto spesso di chiusura del sistema verso quelle che sono le nuove leve, ma questo è un altro discorso.
LUIGI VECCIA, designer di moda, con decenni di esperienza internazionale, noto per il suo archivio Tailor, che unisce tradizione e innovazione nel tessile
Caro Stefano, è vero che il modo di comunicare la moda è cambiato molto negli ultimi anni, e concordo con te sul fatto che l’uso del web stia diventando ripetitivo. Tuttavia, credo che stiamo assistendo a una nuova fase di trasformazione.
La moda, per sua natura, evolve continuamente, e così deve fare la sua comunicazione.
I social media rimangono importanti, ma la chiave sarà rinnovare il modo in cui li usiamo. Il pubblico è sempre più attento all’autenticità e alla narrazione vera dietro il brand.
Penso che vedremo un maggiore utilizzo di piattaforme immersive e interattive, come il metaverso, la realtà aumentata e virtuale, per creare esperienze che vadano oltre l’immagine statica o il semplice video.
L’esperienza emozionale diventerà centrale.
Quanto alle sfilate, la loro funzione cambierà.
Non spariranno, perché rappresentano un momento di spettacolarizzazione e storytelling, ma diventeranno sempre più eventi ibridi, in cui fisico e digitale si fondono.
L’esperienza sarà amplificata attraverso i mezzi virtuali, per raggiungere un pubblico globale, mantenendo però l’esclusività dell’evento live. In definitiva, l’essenza della moda si sposterà verso la creazione di esperienze che coinvolgano il pubblico a un livello più profondo, andando oltre il puro prodotto.
Per riassumere: storytelling ed heritage sono alla base del nuovo percorso esperienziale per comunicare la moda oltre il digitale.
CRISTINA MANFREDI, giornalista, autrice, communication & storytelling advisor
Concordo su una certa ripetitività nel veicolare la moda, del resto gli algoritmi premiano determinati tipi di contenuti perciò è normale che si tenda a reiterare uno schema.
Ritengo sia strategico l’utilizzo dei social per veicolare il proprio brand/messaggio, forse sta però cambiando il come una storia viene raccontata.
Ciò che fino a qualche tempo fa era sufficiente (foto del look, unboxing, ecc) oggi non basta più, deve esserci un qualcosa in grado di agganciare la curiosità dei followers.
Durante la pandemia abbiamo sperimentato soluzioni alternative alla sfilata canonica e in alcuni casi con risultati deliziosi (penso allo show con le bamboline di Moschino).
In quel frangente abbiamo ipotizzato un post covid senza più show, ma non appena ci è stato possibile, siamo tutti ritornati alle passerelle tradizionali.
La sfilata resiste nel tempo perché celebra una sorta di rituale in cui esserci o non esserci fa ancora la differenza.
Penso a certi show di Prada, quello che vedi a video, non ti restituisce mai l’energia che aleggia nella sala.
In futuro (tutto è così incerto nel mondo che rispondere a questa domanda è molto difficile) forse assisteremo a un moltiplicarsi di mondi fashion che comunicheranno in modo differente.
Per chi si occupa di upcycling o pre-loved l’affaccio in una fashion week diventerà magari meno strategico e si creeranno communities alternative.
Resta anche da capire come l’AI entrerà in concreto nel settore, un aspetto questo su cui c’è molto da esplorare.